Fusione tra i comuni di Goro e Mesola: si o no?

Riceviamo e pubblichiamo due interventi relativi al referendum del prossimo 2 dicembre. Per il “si”, Nicola Beltrami, e per il “no”, Primo Marchetti. - 30 November 2018

Il territorio ha questi problemi: decrescita demografica, invecchiamento della popolazione, ragazzi che se ne vanno via per mancanza di lavoro e prospettive di crescita professionale. Il Comune può dare risposte solo se promuove il territorio per attirare nuovi insediamenti produttivi e solo se fa investimenti per favorire le attività economiche che già danno lavoro. L’economia dei comuni di Goro e Mesola si basa su agricoltura e pesca ma produrre e vendere ortaggi e vongole non è più sufficiente a garantire benessere a tutti e per tutto l’anno: bisogna dare valore aggiunto alle produzioni locali in modo che con attività di trasformazione si possa dare lavoro a tutti per tutto l’anno. Se i finanziamenti statali sono stati tagliati e con i soldi che ci sono si fa fatica a garantire la gestione ordinaria dei servizi pubblici, il comune non è in grado di investire e supportare con meno tasse locali le nuove attività imprenditoriali. Si fa la fusione per offrire sviluppo: più lavoro, più servizi e meno tasse locali portano più residenti. Con i fondi per la fusione si potrebbero finalmente mettere in sicurezza i ponti e le strade comunali e curare la manutenzione di parchi e boschi. Si fa la fusione perché il nuovo comune possa pesare di più nelle scelte di gestione sulla sanità, sui servizi sociali, sulle politiche di sviluppo del territorio del Delta. Il nuovo comune potrà fare forza sulla propria posizione geografica centrale tra comuni veneti e comuni emiliani per candidarsi a sede del Parco Unico del Delta del Po’. Il nuovo comune di Goro e Mesola: 1) avrà più risorse per il trasporto locale di malati e non autosufficienti verso le strutture sanitarie; 2) avrà i fondi per supportare i centri di aggregazione pomeridiani per i ragazzi; 3) offrirà nuovi servizi per anziani. La fusione non farà venir meno l’identità dei singoli paesi. E’ l’integrazione di due macchine amministrative. Non si muoveranno i cittadini: gli attuali municipi rimarranno entrambe aperti e si muoveranno i sindaci e gli assessori. I servizi comunali saranno migliori perché il personale si specializzerà. Le comunità avranno solo più opportunità e risorse senza che nessuna prevalga sull’altra e non verranno annullate le loro prerogative attuali. Del resto non c’è un centro urbano prevalente sugli altri. La rappresentanza di tutti nel nuovo comune sarà garantita dal più ampio numero di consiglieri e assessori. Si pensi che, quando le comunità di Goro e Mesola erano insieme, il primo sindaco nel secondo dopoguerra è stato Fabbrini di Goro. Negli ultimi 30 anni le comunità si sono molto integrate e hanno dato vita ad associazioni ed iniziative comuni, per cui, data l’opportunità che viene offerta, è ingiustificato e irragionevole non unire le forze amministrative. Questo ci consente di non dover rinunciare a tutti i servizi per spostarli lontani da noi, magari a Codigoro e Comacchio. I contributi per la fusione consentiranno di attrarne molti altri per poter attivare nuovi investimenti, oltre che per agricoltura e pesca, anche per commercio, artigianato e turismo; nulla cambierà relativamente alle concessioni per la pesca che sono e rimarranno in capo a cooperative già esistenti e alla Regione. Noi del Comitato per il sì riteniamo che le maggiori risorse debbano essere impegnate per: 1) favorire l’occupazione femminile e specializzata; 2) per sviluppare attività nei servizi e nel turismo che attualmente non si riesce a cogliere; 3) fare politiche per la famiglia. Per questa fusione arriveranno circa 20 milioni di Euro e sono certi perché previsti per legge e perché le forze politiche di ogni colore, comprese quelle attualmente al governo, stanno promuovendo fusioni in tutto Centro – Nord Italia.

Nicola Beltrami

 

Il Comitato del “No” ritiene di condividere quanto espresso dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che sostiene che i piccoli comuni racchiudano l’anima e la tradizione civica italiana, una ricchezza non solo in termini di tradizione, patrimonio culturale ed opportunità economiche per il turismo. I piccoli comuni sono un fondamentale presidio per la cura del territorio, per la tutela del paesaggio e per la difesa dal dissesto idrogeologico del territorio. Inoltre, se in Italia, esistono piccoli comuni in sofferenza economica, è più opportuno erogare loro dei contributi per la sopravvivenza piuttosto che finanziarli per la loro scomparsa. Il “no” significa maturare questa coscienza in prospettiva futura.

Primo Marchetti


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