In fuga per la vita

una storia, un dramma come tanti in fuga da Kiev - 22 April 2022

BOSCO – Gli occhi luminosi in cui ci si può specchiare sembrano non mostrare il calvario che ha vissuto. Forse si sono un po’ spenti ma hanno mantenuto la vitalità che probabilmente le ha permesso di sopravvivere. Svitlana Kachenko è una ragazza ucraina di 37enne che è fuggita contemporaneamente dalla guerra e da un cancro che l’ha vista convalescente nell’ospedale di Kiev proprio nei giorni dello scoppio del conflitto russo-ucraino. Adesso vive a Bosco dove ha raggiunto la madre Valentina che risiede in Italia dal 2009 anni. A raccontarlo sembra un film ma è drammaticamente tutto vero a dimostrazione che il suo attaccamento alla vita è stato più forte di qualsiasi avversità. Prima “del ferro e del fuoco” che hanno invaso il suo Paese, Svitlana lavorava da dieci anni come responsabile di un’organizzazione impegnata nell’assistenza agli orfani ucraini, l’Alliance Ukraine without Orphans che riunisce oltre cento associazioni impegnate nel sostegno ai bambini senza genitori. Elemento questo di umanità in una storia che ne ha ben poca, eccetto la catena di solidarietà che si è innescata per lei nel nostro Paese. L’ufficio di Svitlana si trova a Kiev mentre il suo appartamento è a 10 kilometri dalla capitale. E’ stata operata di cancro nel pomeriggio del 22 febbraio ed era già provata da un intervento così pesante. Il giorno successivo è trascorso tranquillo anche se, attraverso i social-media, giungevano “i venti di guerra” anche nel nosocomio; notizie che avevano lasciati increduli tutti, sanitari e pazienti. Ad assisterla erano arrivati da Zhytomyr, paese a 160 chilometri da Kiev, i suoi zii materni. Mentre la zia stava con lei, lo zio accudiva il suo gatto nel suo appartamento alla periferia della città. “Alle 6 del 24 febbraio, giorno dell’inizio del conflitto, – racconta con un incredibile lucidità – lo zio ci ha chiamate e ci ha detto che un’esplosione aveva fatto tremare la mia casa ma ancora non avevamo capito che la guerra fosse cominciata. I medici erano agitati e quelli del turno successivo non si sono presentati perchè bloccati per le strade della città. Ricordo il pianto di un’operatrice delle pulizie, che viveva a 60 km dalla capitale, impossibilitata a ritornare a casa”. “C’era il caos e tutto il reparto era in preda alla confusione, l’infermiera che doveva cambiarmi la medicazione non è arrivata; dovevano radunare tutti i degenti per prepararsi a medicare i feriti di guerra; tutti i convalescenti sono stati mandati a casa, siamo rimasti solo noi operati negli ultimi due giorni”. Così, all’angoscia per il conflitto, si aggiunge in lei quella per una convalescenza lunga, difficile e dall’epilogo incerto in cui era abbandonata a se stessa come tutti gli altri degenti. “Ho ricordato i disordini del 2014 quando avevo già vissuto un’esperienza così ma non riuscivo a credere che la guerra fosse cominciata su dimensioni del genere”. Svitlana si riferisce alla rivoluzione ucraina del febbraio 2014 a conclusione delle proteste dell’Euromaidan, violente manifestazioni pro-europeiste, causate dalla decisione del governo di sospendere le trattative per la conclusione di un accordo di associazione con l’UE. Ci furono scontri violenti tra i manifestanti e le forze di sicurezza nella capitale Kiev che culminarono con la fuga del presidente eletto Viktor Janukovyč. “A quel punto ho parlato col chirurgo che mi aveva operato – continua – che mi ha detto che sarei potuta restare fino a lunedì 28 febbraio dato che mi sarebbe servito molto tempo per ritornare a casa per il disordine nelle strade. La zia doveva rientrare al suo paese e lo zio ha impiegato 3 ore per fare i 10 km tra casa mia e l’ospedale. Siccome c’erano numerosi posti di blocco, sono stati forniti di pass per muoversi”. Nel frattempo la sua condizione fisica peggiorava. “Prendevo antidolorifici per resistere al dolore e non riuscivo a dormire mentre i miei vicini di casa mi scrivevano dei carri armati e dei missili. Alle 5 di mattina un’infermiera mi ha detto che dovevamo andare nei sotterranei dell’ospedale. Dal 4° piano, 9 sono quelli della struttura, siamo scesi e la situazione era drammatica: gli anziani non potevano camminare, non c’era il bagno ed i medici avevano trasportato divani e sedie per farci almeno sedere e ci hanno portato una pentola di zuppa. Dall’esterno arrivavano persone per cercare rifugio. In quell’inferno sono rimasta cinque ore”. “Avevo capito che là sarei morta ed ho deciso che dovevo scappare; – prosegue il suo agghiacciante racconto – un medico mi ha medicato ma non c’erano nè garze nè antidolorifici. Gli zii mi sono venuti a prendere con due auto, la mia e la loro, e di notte siamo partiti verso il loro paese, Zhytomyr. Una era guidata da me ma, fuori dalla capitale, ho bucato una gomma. Sistemata l’auto, siamo ripartiti ed abbiamo dormito da una mia amica infermiera che mi ha medicato. Siamo arrivati nel loro paese, dopo 12 estenuanti ore di viaggio, dove sono stata visitata all’ospedale locale”. Ma il viaggio non era finito e da lì poteva contare solo sulle sue forze. Debilitata da un’operazione invasiva, malnutrita, dolorante, con poche ore di sonno ed angosciata, Svitlana punta dritto verso l’Italia. Dorme a Novograd-Volynskiy in Ucraina poi a Budapest prende una stanza in albergo e si automedica. Ma a Bosco si erano già attivate diverse persone per riceverla: la madre Valentina, il suo compagno Domenico Paganini e la sorella di lui, Malvina. La quale aveva chiesto aiuto al sindaco Gianni Michele Padovani. Il primo cittadino si è subito attivamente adoperato per fissarle un controllo oncologico presso l’Ospedale del Delta di Lagosanto. Due giorni di viaggio e 2.000 km per rivedere una parvenza di vita durante il quale poteva contare solo su se stessa. Chi l’ha vista scendere dall’auto dove la sono andati a prendere in Italia, ha detto che a malapena si reggeva in piedi. Un sforzo fisico e mentale tremendo per una ragazza esile ma con una determinazione ferrea. E’ stata portata subito al Pronto Soccorso di Porto Viro per una visita urgente e l’indomani mattina è stata affidata al dottor Guido Margutti, oncologo di “Valle Oppio”. Seppur in un accettabile stato fisico, Svitlana dovrà sostenere alcune sedute di chemio e radioterapia. “Tutto quello che fa Putin è inutile, – dice – è una cosa terribile. Ci sono molti caduti innocenti. Il nostro popolo non voleva questa guerra; se non avessi avuto questo tumore sarei rimasta là. Credo nei valori che ora sono difesi dal popolo e dall’esercito ucraini: libertà, indipendenza ed amore per il proprio paese. Voglio ringraziare tutti i Paesi europei che forniscono sostegno alle persone colpite dalla guerra, la mia famiglia qui in Italia, le autorità locali che mi hanno accolto ed i medici che mi forniscono cure e supporto. Le persone sono diverse ma la compassione e l’amore fanno miracoli. Vinceremo”. Lei sicuramente ha già vinto.

Lorenzo Gatti


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